Breve storia dei numeri
L’alfabeto nasce qualcosa come 3300 anni fa quando gli uomini passarono dallo scrivere segni che simboleggiassero immagini a scrivere segni che rappresentassero non già l’immagine ma la parola che quella immagine esprimeva: rompendo le parole in componenti più piccole ognuna di esse può essere scritta in una infinita combinazione di varianti, limitando la rappresentazione dei suoni a 20/30 segni contro le migliaia di rappresentazioni grafiche caratteristiche della scrittura pittografica e ideografica.
Ma nonostante l’indubbia praticità del sistema alfabetico, l’uso dei simboli permette un’economicità di concetto che travalica la barriera linguistica, motivo per il quale il loro uso resta costante attraverso i millenni, fianco a fianco alle lettere dell’alfabeto, per rappresentare i concetti più diversi: dai pesi alle misure, alle regole della strada, ai concetti matematici, fisici e chimici fino a giungere alle coloratissime emoticon delle nostre chat quotidiane.
Se i numeri intesi come glifi hanno lo stesso uso delle lettere dell'alfabeto, i numeri intesi come cifre sono un ottimo esempio di questa imprescindibile necessità dell’uso dei simboli nel nostro quotidiano sia perché nascono dall'esigenza di astrazione del concetto di quantità, sia perché il simbolo che li rappresenta oltre ad esprimerne il valore deve altresì prestarsi ad operazioni di calcolo astratto.
Tuttavia, anche se l’uomo conta sin dalla notte dei tempi, la soluzione a questa esigenza di praticità nel calcolo chiesta ai simboli numerici fu trovata solo 1500 anni dopo l’invenzione dell’alfabeto e ci vollero poi quasi 500 anni ancora perché il sistema numerico più semplice ed intuitivo - il sistema di numerazione decimale, detto numerazione araba, prendesse il sopravvento nel mondo occidentale, senza che soppiantasse del tutto i sistemi numerici precedenti: il sistema di numerazione romano per esempio, un sistema additivo/sottrattivo per cui ad ogni simbolo letterale è associato un valore ed il numero rappresentato è dato dalla somma o dalla differenza dei valori di ogni simbolo che lo compone, è comunque sopravvissuto nei secoli fino ad oggi per scrivere date in incisioni e comunicazioni a carattere classico o particolare.
Lo zero e il sistema di numerazione decimale
Furono i matematici indiani i primi che diedero un significato ed un uso matematico al simbolo che noi conosciamo come “zero” che originariamente non era altro che un simbolo grafico ad indicare uno spazio “vuoto”, in altri termini un semplice "segna posto".
Questo simbolo in uso prima presso i Babilonesi che lo rappresentavano come due cunei rovesciati e poi presso i greci, deve la sua forma grafica a questi ultimi che nel chiamarlo oùδέν (nulla) lo rappresentavano con la lettera omicron, o.
Sembra che attorno all’ottavo secolo avanti cristo, quando Baghdad divenne residenza del Califfo di allora, si creò l’occasione per gli studiosi arabi di entrare in contatto con il bagaglio di conoscenze astronomiche e matematiche indiane, posto che Mesopotamia e India all’epoca erano in stretto contatto.
Ma se è certo che furono i matematici arabi a sviluppare il sistema decimale così come lo conosciamo oggi, l’ introduzione di questo sistema in Europa fu per molto tempo attribuita a diverse leggende, una tra le quali ne attribuiva la diffusione a papa Silvestro II (999 - 1003) quasi per il solo fatto che avesse studiato nelle città di Cordova e Siviglia e utilizzasse un abaco dotato di zero.
Di fatto ci vollero altri 200 anni perché l’Europa comprendesse l’utilità di questo sistema e lo adottasse nel quotidiano e certamente contribuì più di tutto la traduzione in Europa ed in Italia in particolare di più di 1500 testi matematici arabi come " Il manuale di algebra” del persiano Muhammad. ibn Musa Al - Khawarizmi (nono secolo) ad opera di Gherardo da Cremona e l’opera di Leonardo Fibonacci da Pisa con il suo Liber Abaci del 1203.
I numeri in tipografia
Ma i numeri non furono semplici da introdurre in occidente nemmeno da un punto di vista strettamente grafico: in europa il loro diffondersi fece nascere il problema di come allinearli con il carattere romano e gotico.
La più grande difficoltà fu quella di trasporre il loro “movimento” orientale nella costruzione geometrica delle lettere romane che prevedono la lettera divisa in due ascendenti un corpo centrale e due discendenti.
Se il problema in un primo tempo era relativo, dal momento che i testi venivano scritti interamente a mano, la cosa divenne evidente con l’introduzione della stampa, intorno al 1455.
E’ in questo momento che la scrittura dei numeri arabi viene “cristallizzata” in una forma ben precisa che varierà di poco o nulla nel corso dei secoli successivi restando oggetto di discussione principalmente il solo allineamento degli stessi al corpo di testo. In origine infatti si ebbero i cosiddetti “old style” o “Text” numerals, in italiano numeri "maiuscoletti" o "elzeviriani" che erano la trasposizione diretta della grafia degli stessi nei testi manoscritti. La loro caratteristica, oltre alla perfetta leggibilità in ogni altezza è appunto il loro “disallineamento”, reso in inglese con il concetto di “non lining numerals”: sono numeri cioè dai tratti ascendenti e discendenti (tranne lo 0, 1 e 2 allineati alla lettera x) perfettamente compatibili con l’alfabeto minuscolo.
L'uso di questi numeri diminuisce gradualmente per poi essere quasi del tutto soppiantato nel corso del XX secolo per motivazioni economiche e pratiche: si preferisce poter stampare con un solo tipo di carattere tipografico compatibile con l'uso massiccio di titolazioni, che si adatti quindi principalmente al carattere maiuscolo. Nascono così i cosiddetti "lining numerals" i numeri maiuscoli che presentano la caratteristica di essere perfettamente allineati al testo. Diventati ormai di uso quotidiano i numeri maiuscoli hanno la praticità di essere incolonnati facilmente ma presentano qualche svantaggio di leggibilità e un'apparenza a volte piuttosto goffa nel corpo di testo, motivo per il quale ancora oggi le pubblicazioni scientifiche e le edizioni di pregio prediligono l'uso del maiuscoletto.
Un’ interessante curiosità è il caso di Dattilo, carattere egiziano prodotto dalla società Nebiolo di Torino nei primi anni '70 del novecento e frutto, insieme al gemello sans serif Forma, di uno studio senza precedenti in tema di leggibilità ed applicazione nell'ambito dell'allora contesto pubblicitario ed editoriale.
Per offrire una soluzione innovativa al problema noto di leggibilità della numerazione maiuscola in un corpo di testo Dattilo è proposto con una "numerazione bassa cassa" alternativa composta di numeri maiuscoli di proporzioni adatte per l'uso nel corpo di testo minuscolo.
Questa caratteristica di Dattilo è stata mantenuta nella sua trasformazione digitale ed è disponibile come opzione open type.
Dopo una prima "scomparsa" nel sistema di fotocomposizione a vantaggio dei numeri maiuscoli, i numeri maiuscoletti sono oggi in una fase di riscoperta e sempre più spesso inclusi nelle nuove digitalizzazioni di caratteri.
E i numeri delle pagine? Come ci racconta Ezio d' Errico nel suo bellissimo "Mistero dei caratteri", contrariamente a quanto si potrebbe pensare la numerazione delle pagine non è contemporanea all'invenzione della stampa ma sembra fare la sua comparsa per la prima volta intorno nel 1470 in un opuscolo in-quarto di Arnoldo Teodoro Hoernen di Colonia; è quindi il proto-tipografo parigino Gering ad utilizzarli sette anni più tardi collocandoli in testa, mentre dopo di lui Ugo di Ruggero a Bologna, Andrea Torresani a Venezia e Tommaso Anselmo ad Haguenau li indicheranno in basso a destra, dove ancora oggi sono comunemente indicati.
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